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mercoledì, 20 Novembre, 2024

Salvatore Pasquariello è il nuovo prefetto di Varese

E’ Salvatore Rosario Pasquariello il nuovo prefetto della provincia di Varese. In realtà si tratta di un ritorno, poiché a Varese, nel corso della carriera prefettizia, ha già ricoperto il ruolo di vice prefetto vicario. Proprio qui nel 2008 assunse l’incarico di responsabile del Centro decisionale di Coordinamento istituito in Prefettura a Varese in occasione dei “Campionati Mondiali di ciclismo su strada”, dichiarati “Grande evento” dal Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del 2 dicembre 2005.

Pasquariello arriva alla guida della prefettura di Varese dopo Dario Caputo, il suo predecessore andato in pensione a fine gennaio scorso.

Nel 2019 è stato nominato prefetto della provincia di Sondrio. Ha inoltre prestato servizio dal 3 aprile 1989 al 9 ottobre 2011 nella Commissione di Coordinamento della Valle d’Aosta ad Aosta; al Commissariato del Governo nella Regione Basilicata a Potenza; alla Prefettura del Verbano Cusio Ossola come Capo di Gabinetto e Dirigente di varie aree. 

Laureato in Giurisprudenza nel 1986 all’Università di Napoli, Salvatore Pasquariello è lucano, la sua famiglia vive ancora oggi a Ruoti e qualche tempo fa, in un’intervista  di cui ripropongo alcuni passaggi, mi aveva raccontato la sua esperienza lavorativa.

Come ha iniziato la sua carriera? Era questo il suo obiettivo?

Dopo la laurea in giurisprudenza mi sono iscritto all’albo dei praticanti procuratori legali di Potenza e, dopo due anni di pratica legale presso studi di avvocati civilisti e penalisti, ho sostenuto e superato l’esame per l’iscrizione all’albo dei procuratori, esercitando nel frattempo la professione presso quelle che allora erano le Preture e studiando contemporaneamente per il concorso in Magistratura. Venne nel frattempo pubblicato il bando del concorso per Vice consigliere di Prefettura del Ministero  dell’Interno, vi partecipai e lo vinsi. Quindi era un piano b?  Sì, perché la mia idea iniziale era quella di diventare avvocato e poi magistrato. Invece, s’inserì lungo il mio percorso professionale  quest’opportunità, che inizialmente non volevo neanche cogliere; partecipai al concorso solo per mettermi alla prova, non con l’idea di intraprendere definitivamente la carriera prefettizia. Ma oggi, guardando indietro, posso dire che invece sto svolgendo  l’attività a me più congeniale, perché sono a contatto con i problemi concreti di comunità spesso diverse tra di loro, con l’amministrazione attiva, con la gente.

Infatti, si misura ogni volta con situazioni differenti. Nella sua carriera ha fronteggiato molte emergenze, nello specifico l’emergenza rifiuti a Napoli dal 25 gennaio al 31 agosto 2008. Qual è il suo giudizio circa l’efficacia del modello di governance adottato in questo settore?

L’esperienza di Napoli si è rivelata una  straordinaria palestra  che mi ha consentito di comprendere meglio come muoversi in caso di emergenza. Nel corso degli anni sono stati fatti molti passi in avanti; già dal 1992, con la legge istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, la n. 225,  è stata prevista la figura del commissario straordinario per la gestione dell’emergenza, nel senso che quando si presenta un evento non fronteggiabile con i mezzi ordinari a livello locale, il Governo in sede centrale dichiara lo stato di emergenza e nomina un commissario per la sua gestione. Spesso si tratta di un prefetto, altre volte può essere il presidente della regione o altri soggetti istituzionali; questa figura ha il potere di derogare con proprie ordinanze all’ordinamento giuridico vigente proprio per raggiungere gli obiettivi in maniera tempestiva e risolvere le problematiche con maggiore efficacia.

Uno degli aspetti più delicati resta il rapporto tra il comando politico e l’esercizio della funzione amministrativa. Quanto è difficile per un tecnico spiegare a un politico qual è la realtà di una certa situazione?

Gli interlocutori politici che ho incontrato lungo il mio cammino professionale sono risultati sempre molto illuminati, nel senso che con il dialogo aperto e  il confronto leale  sono stati individuati, spesso congiuntamente, percorso e decisione che sono andati a risolvere nel modo più appropriato le situazioni contingenti; è  da un po’ di anni che si è consolidato questo tipo di organizzazione politico-amministrativa che distingue l’indirizzo e la decisione politica da una parte e la gestione tecnico-amministrativa dall’altra.

Proprio quando ho svolto le funzioni di Sindaco di Ruoti nel quadriennio 1993/1997, a metà mandato ho introdotto in quell’amministrazione le prime esperienze di distinzione della funzione d’indirizzo politico da quella della gestione, affidando al segretario comunale e ai dipendenti apicali le prime responsabilità di adottare atti con valenza esterna, cioè  capaci di impegnare l’ente verso i terzi; finiva l’epoca in cui gli amministratori dei Comuni erano responsabili finali di tutta l’attività amministrativa. – non le sembra che oggi, il politico sia meno preparato, che ci sia un divario sempre più ampio tra i funzionari amministrativi e chi fa politica? La politica deve dare gli indirizzi ed espletare il controllo sul raggiungimento dei risultati, i dirigenti devono svolgere il proprio lavoro in modo imparziale ed efficiente, con autonomia e competenza e soprattutto al di fuori da interessi di partito.

Le leggo una citazione di un suo collega Carlo Mosca: “Non mi limito mai a fare ciò che le leggi prescrivono, cerco sempre di fare nei limiti prescritti dall’ordinamento tutto quello che le leggi non vietano”. Quanto margine di manovra ha un prefetto?

Mi fa piacere sentire questa citazione e questo nome perché ho il privilegio di conoscere il prefetto Carlo Mosca e di consideralo un maestro, non solo nell’attività professionale ma anche nella vita e sono contento di essere da lui considerato, quando ci scriviamo, un “caro Amico” con la A maiuscola. Nutro nei suoi confronti una profonda stima e un fraterno affetto, egli rappresenta secondo me l’eccellenza dell’alto funzionario della Pubblica amministrazione, è una figura di riferimento per tutti noi che svolgiamo l’attività di dirigenti prefettizi. Quando sostiene che ci sono margini per discostarsi dal mero enunciato del precetto della norma, si riferisce a ciò che avviene non solo nell’ambito di quanto si diceva prima con riferimento ai cosiddetti poteri straordinari che si è chiamati ad esercitare in situazioni emergenziali, ma anche nell’ambito delle modalità attuative di una norma, o di un indirizzo o di un progetto, nei limiti  di quello che non è vietato ed è in linea con i principi del diritto civile, secondo cui un’azione è lecita quando non è espressamente vietata (nel diritto penale vige, invece,  il principio di tassatività delle norme, per cui le condotte vietate devono essere previste in modo puntuale e predeterminato da una legge). In questa cornice, il margine che può avere un funzionario della Pubblica Amministrazione risiede nella facoltà di  individuare  e adottare nella situazione concreta la misura più adatta ad affrontare e risolvere il problema, tenendo presente il principio che ispira la norma, l’etica e soprattutto i principi costituzionali, non solo i primi dodici articoli che afferiscono alle libertà dei cittadini ma anche quelli che indirizzano l’attività amministrativa, come gli articoli 54 e 97 della Costituzione (disciplina e onore nell’adempimento di funzioni pubbliche e necessità di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione). In definitiva, bisogna pensare e agire sempre per il perseguimento dell’interesse generale e del bene comune. Nell’attuare le norme si dispone effettivamente, dunque, della discrezionalità amministrativa, che consente a chi opera di individuare e modulare caso per caso la misura migliore.

A proposito di Costituzione, non c’è nessun riferimento esplicito alla figura del Prefetto, tant’è che già Einaudi parlava di abolire le Prefetture sostenendo che fossero un retaggio sabaudo. All’atto pratico, cosa significa essere Prefetto e com’è cambiato il suo ruolo nel tempo?

Secondo alcuni i Prefetti non sono citati nella Costituzione perché sono precedenti ad essa. Infatti, la sua istituzione avvenne con Napoleone e con la prima Repubblica italiana, nel 1802, quindi abbiamo superato i duecento anni di vita! L’anno di nascita del Prefetto italiano è il 1861, con l’unità  d’Italia.  Quanto ad Einaudi, gli studiosi hanno dimostrato che voleva semplicemente mettere in luce il maggior rispetto da riservare alle autonomie territoriali, avendo in seguito manifestato, da Presidente della Repubblica, massima fiducia e stima nell’istituto prefettizio.

La figura del Prefetto è senza dubbio attuale, basti pensare che come il Governo si serve degli ambasciatori per essere rappresentato all’estero, così ha necessità di servirsi dei prefetti per essere rappresentato in periferia; infatti, il prefetto rappresenta il potere esecutivo, il Governo nel suo insieme, nella provincia; non mancano norme e letteratura, tuttavia, che vanno nella direzione di  una visione del Prefetto come rappresentante generale dell’intero Stato. – Fa da cerniera tra tutte le figure e istituzioni locali – Sì, raccorda sia le attività degli organi centrali con quelle degli organi periferici dello Stato, sia tra queste e le attività  degli enti locali e degli enti rappresentativi delle collettività territoriali; quindi l’attività del Prefetto costituisce il momento di sintesi e di scambio circolare e virtuoso tra le varie attività delle pubbliche amministrazioni, in modo che possa egli rappresentare le esigenze del territorio agli organi centrali e trasmettere gli indirizzi e le direttive di questi alla periferia.

Le funzioni del prefetto poggiano sul principio della leale collaborazione. Ha mai trovato delle resistenze da parte dei suoi interlocutori?

Il principio di leale collaborazione è insito nelle funzioni amministrative, ognuno si deve rendere conto che è parte di un sistema, una rete appunto di collaborazione, perché viceversa significa procedere individualmente ed è impossibile svolgere le funzioni amministrative in maniera adeguata. Tant’è che questo principio è stato anche codificato nella Costituzione con la sua modifica del 2001 e ci sono state anche delle leggi attuative che ne hanno meglio definito i contorni; di essa il Prefetto è il garante; egli infatti ha il potere di convocare intorno ad un tavolo tutte le amministrazioni periferiche dello Stato e favorire il dialogo con gli enti locali, la composizione degli interessi eventualmente contrapposti, individuando in modo congiunto e condiviso le soluzioni comuni. In questo, egli è coadiuvato dalla Conferenza provinciale permanente, che mi propongo di convocare nel prossimo febbraio anche nella provincia di Sondrio. Personalmente non mi è capitato di trovare delle fratture oppure delle incomprensioni tali da non riuscire a sostenere un dialogo. Anzi, credo che il dialogo sia acquisito come metodo da tutte le pubbliche amministrazioni.

E’ Salvatore Rosario Pasquariello il nuovo prefetto della provincia di Varese. In realtà si tratta di un ritorno, poiché a Varese, nel corso della carriera prefettizia, ha già ricoperto il ruolo di vice prefetto vicario. Proprio qui nel 2008 assunse l’incarico di responsabile del Centro decisionale di Coordinamento istituito in Prefettura a Varese in occasione dei “Campionati Mondiali di ciclismo su strada”, dichiarati “Grande evento” dal Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del 2 dicembre 2005.

Pasquariello arriva alla guida della prefettura di Varese dopo Dario Caputo, il suo predecessore andato in pensione a fine gennaio scorso.

Nel 2019 è stato nominato prefetto della provincia di Sondrio. Ha inoltre prestato servizio dal 3 aprile 1989 al 9 ottobre 2011 nella Commissione di Coordinamento della Valle d’Aosta ad Aosta; al Commissariato del Governo nella Regione Basilicata a Potenza; alla Prefettura del Verbano Cusio Ossola come Capo di Gabinetto e Dirigente di varie aree. 

Laureato in Giurisprudenza nel 1986 all’Università di Napoli, Salvatore Pasquariello è lucano, la sua famiglia vive ancora oggi a Ruoti e qualche tempo fa, in un’intervista  di cui ripropongo alcuni passaggi, mi aveva raccontato la sua esperienza lavorativa.

Come ha iniziato la sua carriera? Era questo il suo obiettivo?

Dopo la laurea in giurisprudenza mi sono iscritto all’albo dei praticanti procuratori legali di Potenza e, dopo due anni di pratica legale presso studi di avvocati civilisti e penalisti, ho sostenuto e superato l’esame per l’iscrizione all’albo dei procuratori, esercitando nel frattempo la professione presso quelle che allora erano le Preture e studiando contemporaneamente per il concorso in Magistratura. Venne nel frattempo pubblicato il bando del concorso per Vice consigliere di Prefettura del Ministero  dell’Interno, vi partecipai e lo vinsi. Quindi era un piano b?  Sì, perché la mia idea iniziale era quella di diventare avvocato e poi magistrato. Invece, s’inserì lungo il mio percorso professionale  quest’opportunità, che inizialmente non volevo neanche cogliere; partecipai al concorso solo per mettermi alla prova, non con l’idea di intraprendere definitivamente la carriera prefettizia. Ma oggi, guardando indietro, posso dire che invece sto svolgendo  l’attività a me più congeniale, perché sono a contatto con i problemi concreti di comunità spesso diverse tra di loro, con l’amministrazione attiva, con la gente.

Infatti, si misura ogni volta con situazioni differenti. Nella sua carriera ha fronteggiato molte emergenze, nello specifico l’emergenza rifiuti a Napoli dal 25 gennaio al 31 agosto 2008. Qual è il suo giudizio circa l’efficacia del modello di governance adottato in questo settore?

L’esperienza di Napoli si è rivelata una  straordinaria palestra  che mi ha consentito di comprendere meglio come muoversi in caso di emergenza. Nel corso degli anni sono stati fatti molti passi in avanti; già dal 1992, con la legge istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, la n. 225,  è stata prevista la figura del commissario straordinario per la gestione dell’emergenza, nel senso che quando si presenta un evento non fronteggiabile con i mezzi ordinari a livello locale, il Governo in sede centrale dichiara lo stato di emergenza e nomina un commissario per la sua gestione. Spesso si tratta di un prefetto, altre volte può essere il presidente della regione o altri soggetti istituzionali; questa figura ha il potere di derogare con proprie ordinanze all’ordinamento giuridico vigente proprio per raggiungere gli obiettivi in maniera tempestiva e risolvere le problematiche con maggiore efficacia.

Uno degli aspetti più delicati resta il rapporto tra il comando politico e l’esercizio della funzione amministrativa. Quanto è difficile per un tecnico spiegare a un politico qual è la realtà di una certa situazione?

Gli interlocutori politici che ho incontrato lungo il mio cammino professionale sono risultati sempre molto illuminati, nel senso che con il dialogo aperto e  il confronto leale  sono stati individuati, spesso congiuntamente, percorso e decisione che sono andati a risolvere nel modo più appropriato le situazioni contingenti; è  da un po’ di anni che si è consolidato questo tipo di organizzazione politico-amministrativa che distingue l’indirizzo e la decisione politica da una parte e la gestione tecnico-amministrativa dall’altra.

Proprio quando ho svolto le funzioni di Sindaco di Ruoti nel quadriennio 1993/1997, a metà mandato ho introdotto in quell’amministrazione le prime esperienze di distinzione della funzione d’indirizzo politico da quella della gestione, affidando al segretario comunale e ai dipendenti apicali le prime responsabilità di adottare atti con valenza esterna, cioè  capaci di impegnare l’ente verso i terzi; finiva l’epoca in cui gli amministratori dei Comuni erano responsabili finali di tutta l’attività amministrativa. – non le sembra che oggi, il politico sia meno preparato, che ci sia un divario sempre più ampio tra i funzionari amministrativi e chi fa politica? La politica deve dare gli indirizzi ed espletare il controllo sul raggiungimento dei risultati, i dirigenti devono svolgere il proprio lavoro in modo imparziale ed efficiente, con autonomia e competenza e soprattutto al di fuori da interessi di partito.

Le leggo una citazione di un suo collega Carlo Mosca: “Non mi limito mai a fare ciò che le leggi prescrivono, cerco sempre di fare nei limiti prescritti dall’ordinamento tutto quello che le leggi non vietano”. Quanto margine di manovra ha un prefetto?

Mi fa piacere sentire questa citazione e questo nome perché ho il privilegio di conoscere il prefetto Carlo Mosca e di consideralo un maestro, non solo nell’attività professionale ma anche nella vita e sono contento di essere da lui considerato, quando ci scriviamo, un “caro Amico” con la A maiuscola. Nutro nei suoi confronti una profonda stima e un fraterno affetto, egli rappresenta secondo me l’eccellenza dell’alto funzionario della Pubblica amministrazione, è una figura di riferimento per tutti noi che svolgiamo l’attività di dirigenti prefettizi. Quando sostiene che ci sono margini per discostarsi dal mero enunciato del precetto della norma, si riferisce a ciò che avviene non solo nell’ambito di quanto si diceva prima con riferimento ai cosiddetti poteri straordinari che si è chiamati ad esercitare in situazioni emergenziali, ma anche nell’ambito delle modalità attuative di una norma, o di un indirizzo o di un progetto, nei limiti  di quello che non è vietato ed è in linea con i principi del diritto civile, secondo cui un’azione è lecita quando non è espressamente vietata (nel diritto penale vige, invece,  il principio di tassatività delle norme, per cui le condotte vietate devono essere previste in modo puntuale e predeterminato da una legge). In questa cornice, il margine che può avere un funzionario della Pubblica Amministrazione risiede nella facoltà di  individuare  e adottare nella situazione concreta la misura più adatta ad affrontare e risolvere il problema, tenendo presente il principio che ispira la norma, l’etica e soprattutto i principi costituzionali, non solo i primi dodici articoli che afferiscono alle libertà dei cittadini ma anche quelli che indirizzano l’attività amministrativa, come gli articoli 54 e 97 della Costituzione (disciplina e onore nell’adempimento di funzioni pubbliche e necessità di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione). In definitiva, bisogna pensare e agire sempre per il perseguimento dell’interesse generale e del bene comune. Nell’attuare le norme si dispone effettivamente, dunque, della discrezionalità amministrativa, che consente a chi opera di individuare e modulare caso per caso la misura migliore.

A proposito di Costituzione, non c’è nessun riferimento esplicito alla figura del Prefetto, tant’è che già Einaudi parlava di abolire le Prefetture sostenendo che fossero un retaggio sabaudo. All’atto pratico, cosa significa essere Prefetto e com’è cambiato il suo ruolo nel tempo?

Secondo alcuni i Prefetti non sono citati nella Costituzione perché sono precedenti ad essa. Infatti, la sua istituzione avvenne con Napoleone e con la prima Repubblica italiana, nel 1802, quindi abbiamo superato i duecento anni di vita! L’anno di nascita del Prefetto italiano è il 1861, con l’unità  d’Italia.  Quanto ad Einaudi, gli studiosi hanno dimostrato che voleva semplicemente mettere in luce il maggior rispetto da riservare alle autonomie territoriali, avendo in seguito manifestato, da Presidente della Repubblica, massima fiducia e stima nell’istituto prefettizio.

La figura del Prefetto è senza dubbio attuale, basti pensare che come il Governo si serve degli ambasciatori per essere rappresentato all’estero, così ha necessità di servirsi dei prefetti per essere rappresentato in periferia; infatti, il prefetto rappresenta il potere esecutivo, il Governo nel suo insieme, nella provincia; non mancano norme e letteratura, tuttavia, che vanno nella direzione di  una visione del Prefetto come rappresentante generale dell’intero Stato. – Fa da cerniera tra tutte le figure e istituzioni locali – Sì, raccorda sia le attività degli organi centrali con quelle degli organi periferici dello Stato, sia tra queste e le attività  degli enti locali e degli enti rappresentativi delle collettività territoriali; quindi l’attività del Prefetto costituisce il momento di sintesi e di scambio circolare e virtuoso tra le varie attività delle pubbliche amministrazioni, in modo che possa egli rappresentare le esigenze del territorio agli organi centrali e trasmettere gli indirizzi e le direttive di questi alla periferia.

Le funzioni del prefetto poggiano sul principio della leale collaborazione. Ha mai trovato delle resistenze da parte dei suoi interlocutori?

Il principio di leale collaborazione è insito nelle funzioni amministrative, ognuno si deve rendere conto che è parte di un sistema, una rete appunto di collaborazione, perché viceversa significa procedere individualmente ed è impossibile svolgere le funzioni amministrative in maniera adeguata. Tant’è che questo principio è stato anche codificato nella Costituzione con la sua modifica del 2001 e ci sono state anche delle leggi attuative che ne hanno meglio definito i contorni; di essa il Prefetto è il garante; egli infatti ha il potere di convocare intorno ad un tavolo tutte le amministrazioni periferiche dello Stato e favorire il dialogo con gli enti locali, la composizione degli interessi eventualmente contrapposti, individuando in modo congiunto e condiviso le soluzioni comuni. In questo, egli è coadiuvato dalla Conferenza provinciale permanente, che mi propongo di convocare nel prossimo febbraio anche nella provincia di Sondrio. Personalmente non mi è capitato di trovare delle fratture oppure delle incomprensioni tali da non riuscire a sostenere un dialogo. Anzi, credo che il dialogo sia acquisito come metodo da tutte le pubbliche amministrazioni.

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