Rosario Angelo Avigliano, è tornato nelle librerie con il romanzo La carrozza del capitano. Il libro, edito da Universo Sud, è «rinascimentale nella rappresentazione perfetta dei più minuti dettagli, ma anche impressionista nella capacità, con poche “pennellate” di rendere l’idea di complessi scenari sociali, economici e ambientali e del loro mutare. Una storia lunga e complessa, ricca di personaggi e situazioni, che si dipana tra la metà dell’Ottocento e i primi anni ’60 dello scorso secolo».
Un libro che racconta la storia della famiglia Somma e in particolare di Faustino Somma, imprenditore e banchiere che ha segnato un’epoca economica e sociale lucana.
Come nasce questo libro?
Diciamo che ho voluto restituire alla comunità vagliese e alla famiglia Somma, la memoria di Faustino Somma, raccontando soprattutto la genesi. Le radici, l’adolescenza ed i primi anni giovanili di Nino (Faustino) Somma, scegliendo di proposito di lasciare scontornato il periodo successivo, quello del maggior impegno sociale del protagonista del racconto. Mi sono voluto mantenere sul sogno ma al tempo stesso tracciare una linea dentro la storia di Vaglio del ‘900.
Com’è possibile che di un personaggio così, non si sappia molto?
Mi hai fatto una bellissima riflessione che riporterò ai tre figli di Faustino: Francesco, Michele ed Ernesto.
Accade spesso che ci sia il rischio che storie, personaggi come questo cadano nell’oblio. In tanti posti accade che ci si dimentichi dei figli di quella terra. Accade a Potenza, che ha storie e personaggi molto noti, perché non c’è quell’autentico senso d’identità e memoria, anche per quelle persone che hanno fatto grandi cose, ma che rischiano di finire nel dimenticatoio.
È una cosa molto triste, ci dovrebbe essere una generazione di riconoscenti, ed io sono fra questi, ed è il motivo per cui ho scritto questo racconto, restituire Faustino Somma alla memoria lucana.
Com’è stato accolto il libro a Vaglio paese di origine di Faustino Somma?
A Vaglio questo libro apre le celebrazioni, perché il prossimo venti maggio, sarà inaugurata una piazza intitolata a Faustino Somma, sarà installato un menir, una pietra alta quattro metri di palissandro rosa. Nella memoria di Vaglio, il ricordo e la gratitudine verso Nino Somma è vivo anche perché le dinamiche sociali che sono state la conseguenza delle sue azioni, in particolare con i posti di lavoro creati a partire dagli anni ’70 ha fatto sì che Vaglio, al contrario di altri paesi, non vivesse il processo di spopolamento soprattutto verso il nord Italia. Nell’industria siderurgica lucana “Ferriera” sita a Potenza e da lui creata, ci lavoravano più di trecento vagliesi. Dopo quegli anni si è aperta la fase bancaria, Faustino Somma ha fondato la Banca Mediterranea, io stesso ho cominciato da quella realtà, una banca territoriale, con una grande visione organizzativa. Ecco lui è stato un uomo di grandissime visioni e intuizioni, una persona che riusciva a leggere il domani.
Nella prefazione del libro, curata dal figlio Francesco Somma, è enfatizzato il lavoro di ricostruzione, restituendo un tassello alla storia della famiglia Somma. Quali sono state le tue fonti?
C’è una parte importantissima di racconto orale: ho intervistato molte persone, coetanei di Faustino Somma che lo ricordano proprio da bambino e, poi, c’è una parte documentale di ricerca, perché volevo arrivare a costruire un’identità, un’origine. Per le ricerche genealogiche, può sembrare strano, ma, mi sono avvalso di un caro amico che vive nel Wisconsin, Chris Marsicano. Gli italoamericani hanno una grandissima attenzione verso le origini, quindi investono molto tempo e denaro a ricostruire l’albero genealogico delle famiglie. Pensa che Chris Marsicano su Vaglio ha un database di oltre 80mila nomi, tra date di nascita, di matrimonio e di morte. Quando gli ho chiesto di aiutarmi a ricostruire le origini genealogiche di Faustino Somma, ha scoperto che i Somma arrivarono a Vaglio verso la metà dell’ottocento e venivano dalla provincia di Salerno, da un paesino che si chiama San Rufo, tant’è che poi sono andato in questo posto ed effettivamente ci sono ancora dei Somma. Probabilmente parte di loro, arrivarono a Vaglio perché all’epoca, San Rufo era malsana e non offriva grandi opportunità e ci arrivarono da «vetturali». Si tratta di una categoria molto importante, perché trasportavano sia merce sia persone. A questo proposito, in questo libro, i salti generazionali della famiglia Somma sono evidenti: prima vetturali, poi commercianti, poi trasformano il vino, in seguito Michele Somma, il padre di Faustino, ha l’idea della cantina, che ancora oggi esiste, ed è la Taverna Oraziana, uno dei primi ristoranti della Basilicata, citato dalle guide Michelin dell’epoca e che oggi è guidata da Michele Somma e i fratelli.
Importante nel libro sono le ambientazioni e i passaggi storici.
Sì, sono il frutto di un mix di racconti orali, ricordi ed elementi documentali come può essere per il riferimento al brigantaggio, mentre la carrozza degli americani trae spunto da un ricordo di famiglia: un cugino di mia madre nato a New York, mai venuto a Vaglio ma che nel ’42-43 era di stanza a Foggia. Arrivato a Vaglio in piena miseria, chiede dei suoi parenti in dialetto vagliese! Lo accompagnano da mia nonna e tutto il paese si mette insieme, con quello che avevano perché non c’era niente da mangiare, per organizzare l’accoglienza a questo soldato e a un suo commilitone. Dato che la madre ogni settimana spediva un pacco ai parenti, quando il figlio torna in America, le dice di non mandare più nulla perché lì in quel posto dimenticato, non avevano bisogno di niente! Insomma aveva avuto l’impressione che stessero tutti bene per l’accoglienza ricevuta!
Credo che tutti questi pezzi, questi episodi fossero necessari a prescindere dalla storia. Ad esempio ho raccontato di Napoli per ricordare un altro figlio lucano, Nicola Lacapra, fondatore del teatro Bellini era un vagliese, eletto nella XIII legislatura dopo l’Unità d’Italia.
Nel libro dedichi alcuni passaggi ai moti rivoluzionari che animarono Vaglio e la Lucania nel 1799.
A casa ho un testo “Uomini, aspirazioni e contrasti nella Basilicata del 1799: i rei di Stato lucani”, ossia i 1348 lucani che furono accusati di essere giacobini, quindi protagonisti dei moti del 1799 ed è diviso per paese. Quando sono andato ad incrociare il mio albero genealogico, fatto con l’aiuto di Chris Marsicano, con gli Avigliano giacobini, è venuto fuori che tra questi c’era il trisnonno di mio nonno! Quindi quel Carlo Antonio Avigliano era un mio trisavolo e allo stesso tempo parente dei Somma, perché la nonna materna di Faustino Somma, di cognome faceva Avigliano ed era sorella del mio bisnonno.
Quando si fanno queste scoperte di radici, e riesci a metterle in relazione si decifrano anche aspetti del proprio carattere. In questo racconto ho voluto mantenere anche quest’aspetto della genealogia e mi sono reso conto che manca un’attenzione verso la ricognizione anagrafica, al contrario degli americani!
Secondo te, perché non c’è questo tipo di attenzione anche verso la memoria locale?
Credo che il problema sia perché raccontiamo la storia in modo didascalico, non appassionato. La storia, se studiata in maniera contestualizzata al territorio dove viviamo, avrebbe un impatto diverso. Ci sono delle dinamiche, dei salti generazionali che inevitabilmente si perdono perché sono prevalentemente dei racconti orali, ma che sono fondamentali per trasferire quel senso di appartenenza e identità. Per mia esperienza, quando vado nelle scuole, perché sono anche una guida turistica, i ragazzi sono molto affascinati dal racconto epico e mi rendo conto che se riesci a trasformare quella parte storica che è didascalica e scientifica, stracolma di date e di nomi, in un racconto, tutto può diventare appassionante!
Come hai cominciato a scrivere?
Sono un autodidatta, scrivo di pancia però se ti devo dire che tecnicamente ho imparato a farlo o che conosca la materia ti risponderei di no. Ho quest’inclinazione, ho capito che mi piace scrivere per immagini, ho bisogno di figurarmi la scena, e poi trasferirlo su carta. La mia immaginazione mi aiuta ad intrecciare i racconti, le cose che conosco, con i luoghi che vedo.
Com’è cambiato nel tempo il tuo modo di scrivere?
Moltissimo, ho capito che la scrittura è esercitazione, più si va avanti e più si fanno progressi. In questo libro poi, mi sono avvalso dell’aiuto di due carissimi amici: Carmen Cangi è una poetessa, molto brava nei mini plot, ha vinto anche un concorso in RAI per la radio. Lei è stata l’anima femminile di questo libro, un’amica molto esigente e diretta nella fase di stesura del testo.
Poi, Donato Loscalzo, docente presso l’Università di Perugia, anche lui poeta lucano, particolarmente attaccato al territorio, e possiede una lirica eccellente. Entrambi mi hanno incoraggiato e insegnato moltissime cose.
La copertina?
La foto di copertina del libro illustra un particolare del menir che sarà installato a Vaglio. L’opera è stata realizzata da un artista vagliese, Vincenzo Losasso che ha esposto in tutto il mondo, e gli ho chiesto di riprodurre un dettaglio per la copertina.
Nella postfazione a cura di Gianfranco Blasi, particolare attenzione è dedicata alle atmosfere che hai creato nel libro e che ricordano Pavese ma anche a mio avviso, Nigro. In che misura gli autori influenzano la tua produzione?
Amo molto gli autori fuori dal levismo e che decantano la Basilicata. Adoro Gaetano Cappelli, lo stesso Gianfranco Blasi, ma ce ne sono tanti altri: Andrea Galgano, la bellissima penna di Carmen Cangi e Donato Loscalzo. Mi mantengo nei rapporti di amicizia e prossimità, devo dire che la Basilicata vive un grandissimo fermento di scrittura. Però mi lascio ispirare soprattutto dalle storie, dai luoghi e dalle persone. Sono sempre alla ricerca di racconti autentici, di mani che sanno fare, di aneddoti, per me la Basilicata è un valore assoluto. Mi definisco un “conta fatti”, penso sempre al mondo a cui sono appartenuto e a quello a cui appartengo oggi, per me le «animae loci» dei paesi hanno un valore genetico.