Domenico Mazzullo (1897-1989)*
Alieno ormai a partecipare a convegni di sorta per motivi più che comprensibili data la mia canonica età, in un primo momento avevo decisamente declinato l’invito rivoltomi dall’amico Prof. Mariano Mazzullo. Ma, solo nel volgere di un giorno, ho compreso che non potevo rifiutarmi innanzitutto a motivo che sull’illustre personaggio è raro rinvenire un testimone che possa riferire di eventi di parecchio tempo fa. D’altronde, data la sollecitazione per altra iniziativa a mettere fuori dei ricordi diversamente recuperabili fattami dal Preside Bruno De Masi in precedenza, ho finito per convincermi. Effettivamente, mi son detto, resto uno dei pochissimi a ricordare con lucidità fatti e circostanze della Oppido che fu.
Ritrovandomi compagno di classe di Domenico Mazzullo figlio, amichevolmente Mimmo, ho iniziato a frequentarne il domicilio sin da bambino. A me e ad altri c’invitava di sovente. Quando vi ho messo piede all’inizio sono stato quasi imbambolato nel rimirare tutti quei visi che si protendevano dalle pareti e che davano veramente l’idea di una casa-museo. Di solito capitava di vedere pendere dall’alto le foto incorniciate degli ascendenti di un nucleo familiare, ma si identificavano tutte alquanto cristallizzate e uguali per posa e concezione. La residenza dei Mazzullo era agli antipodi rispetto alle altre, era unica. Le immagini, che ti si proiettavano, pur non ricavate in diretta come in una foto, apparivano più vive. Era una sensazione strana per dei ragazzi, che in paese potevano contemplare solo le espressioni standardizzate di santi e persone allocati nelle chiese. Sembrava proprio che ti parlassero. Erano tante le figure che s’imponevano, ma il mio sguardo era catturato da tre, Lyda Borelli, la fascinosa attrice che ti si offriva dolce e maliosa, lo stesso maestro dell’artista, il polistenese Vincenzo Jerace delineato nell’estasi dell’ispirazione e infine il nostro pittore e scultore da giovane. Quei suoi profondi occhi aperti che fissavano l’infinito dicevano tutto. Vi leggevi in pieno il grande furore artistico da cui era animato. In successione ad attirarmi si sono aggiunti lo stupendo quadro in cui ha raffigurato la vecchia madre accanto al focolare e i luminosi panorami agresti sulla strada che conduce alla Vina e a Oppido vecchio.
Non è che io abbia conosciuto compiutamente il prof. Mazzullo, però di sicuro i contatti occorsi casualmente e quanto in giro si è favoleggiato mi hanno offerto il destro per entrare nel suo mondo. Si qualificava egli persona di buona indole e particolarmente cortese con chi lo avvicinava. In quelli che gli erano da presso non riusciva però a captare le birbonate che non di rado gli combinavano. In verità, era persona candida e schietta e non stava mai in sospetto che in ogni mossa si potesse celare un eventuale tranello. Giudicava sempre con occhio benevolo. Era un semplice. Ma neanche lui si privava dall’architettare a volte delle innocenti burlette. Un volta che ci siamo portati a casa sua abbiamo notato che sopra un tavolo troneggiava un grosso cocomero rosso – diremmo meglio nu bellu zzipangulu – con discosto anche delle fette singole. Al vederlo l’acquolina in bocca non poteva non proporsi. Il maestro ci ha invitati a prenderne un pezzo. Somma la sorpresa quando ci siamo visti le mani impiastricciate di rosso. Si trattava sì di un cocomero, ma in scultura nell’attesa di consolidarsi e con uno strato di pittura ancora fresca. Quale delusione e meraviglia insieme! Guardavamo con occhi sgranati.
Mi ritorna alla mente come fosse oggi la sua soddisfazione per una pronta intuizione nel risolvere una problema che pareva irrisolvibile. Era il 1944 con la guerra ancora in atto almeno non da noi e si era dato il via alla ricostituzione del vecchio Cinema Teatro. Il locale, al concludersi degli anni venti suddiviso in vani e affittato a cinque nuclei familiari, si offriva ormai malridotto e ci voleva una mano santa per renderlo accessibile. Il settore murario era stato affidato ai mastri Epifanio e non si affacciavano problemi di alcun genere, ma il soffitto evidenziava condizioni assai miserevoli. Per ampio tratto era bruciacchiato dai vari focolari e fornacette che si erano susseguiti. Per fare il miracolo è stato allora chiamato il prof. Mazzullo, che si è concentrato su dei tentativi, ma nulla, non c’era niente da fare. Sempre perplesso e perso nei suoi pensieri, in un frangente gli sobbalza un’idea piuttosto strana. Afferra una spugna, la intinge nel secchio del colore e la passa su un tratto della superficie interessata operandovi solo una pressione. Miracolo! S’intravedeva sì il nerofumo, ma risultava così amalgamato alla nuova tinta che il tutto si presentava come un paesaggio orientalizzante. Nessuno più contento di lui, che sprizzava felicità da tutti i pori per il caso così brillantemente risolto. Di passo in passo non faceva che esprimersi col ritornello “guardati chi fici na fetenzja ‘i spugna”. Essendo lo stabile proprietà di mia nonna, io mi ci trovavo nelle ore pomeridiane e con me anche l’amico Mimmo e altri. Lo spasso abituale per noi ragazzi era saltare dall’alto dei cavalletti su un ammasso di sabbia, ma non è che fossimo provetti. In un’occasione, notando il nostro cattivo modo di operare, è intervenuto il nostro che, come un ragazzino, si è messo di punta anche lui a fine d’insegnarci a come farlo bene.
Il prof. Mazzullo era un buono, un creatore di genio che prospettava fedelmente quanto vedeva con i suoi occhi, ma anche una personalità tuffata nelle sue ispirazioni, sicuramente estranee a noi mortali e popolate da elementi fantastici. Nelle varie contingenze attribuiva le burlesche iniziative agli spiriti folletti che, diceva, si divertivano a bersagliare i malcapitati di turno. Quanti creatori di arte di grande fama non hanno ricalcato le stesse orme! Il vero artista non è un uomo come noi. La sua visuale interiore ed esteriore si estende lontano e spesso divaga nella irrealtà. Le sue creazioni, anche se protese verso particolari di ordine materiale, hanno sempre il loro afflato in una sfera immaginaria. Dice bene lo scrittore Andrea Camilleri: “L’artista è colui che ha una costante percezione alterata della realtà”.
Percezione alterata della realtà indubbiamente, ma Mazzullo possedeva del pari una memoria visiva incredibile. Negli anni 50 ha egli riprodotto le fattezze di una giovinetta sua dirimpettaia deceduta quasi improvvisamente, Maria Grazia Isaia. Non possedendo i suoi alcuna immagine fotografica, vi hanno fatto ricorso. Fatto sta che in men che non si dica quegli ha espresso un ritratto puntuale in ogni dettaglio pescando solo nel ricordo. Allora se n’è parlato molto. Probabilmente, ne avrà allestito degli altri.
Il pittore-scultore oppidese, aveva un suo universo cui attingere, ma non era avulso da ciò che lo circondava e a un particolare inconsueto esprimeva gioiosamente il suo stupore. In una circostanza l’avv. Mittica, riferendo che a Zurgonadi si elevava un ulivo gigantesco che poteva rimontare ai tempi della Magna Grecia, vi ci ha condotti. Ricordo il suo sbalordimento e i giri attorno all’albero. Questo si mostrava con una circonferenza enorme, ma non era chiaro se si trattasse di quattro bracci che si dipartivano dalla medesima pianta oppure di quattro distinte. Il primo impatto si proponeva comunque come cosa notevole. Nell’ultima fase di sua vita l’amico Mazzullo mi ha reso un grande piacere. Una mia zia, avendo rilevato in stato pietoso la fatica di un valente pittore oppidese, Luigi Musitano, che recava i tratti di un mio antico parente, l’orafo Giuseppe Franconeri, se n’è facilmente disfatta offrendomelo. Ho pensato subito che l’unico a poterlo rimettere in sesto fosse propriamente lui. Non appena gliel’ho proposto ha aderito senza esitazione e a breve mi ha restituito l’opera restaurata nella maniera migliore tanto che non mostra a mio avviso il benchè minimo indice di restauro.
Il nostro artista era anche autoironico e a testimoniarlo appieno si staglia quell’originale lavoro che, con la riproduzione della cattedrale e dei tanti palazzi nobiliari, regala uno dei momenti più tradizionali del paese, il viavai degli abitués sulla piazza maggiore nei pomeriggi assolati. Nell’insieme si stagliano in tutta evidenza l’avv. Mittica e l’avv. Grillo intenti a conversare mentre passeggiavano sul marciapiede, Mico Creazzo a braccetto con Federico Lentini, il messo esattoriale di Messignadi in atto di consegnare una cartella a un destinatario e il medico Iaria che con giovanile baldanza attraversa l’agorà per andare a comprare le sigarette al tabacchino di fronte. Ma il clou della situazione è certamente rappresentato dal Mazzullo stesso, che sì è effigiato di spalle mentre si avvia dinoccolato con le mani dietro la schiena e sperso nei suoi pensieri verso la parte superiore. Anche in quella posizione tu vedi e leggi il Mazzullo uomo e artista.
Il prof. Mazzullo durante la sua vita per poter vivere dignitosamente ha dipinto di tutto anche figurazioni agiografiche partitiche. Alla sua epoca andava così e c’erano famiglie da mantenere e nessuno se la sentiva di fuorviare. Vistosi segni si rilevavano nella sede dell’Opera Balilla e in quella del Circolo Operaio, ma oggi a testimonianza ci restano solo le nitide istantanee di Luigi Morizzi. In cuor suo però quegli socialista era e socialista è rimasto. Dal punto di vista politico non transigeva. Tramontato il fascismo e principiando a ricostituirsi le vecchie fazioni, si è cercato di ridare vita al partito dei Costa e dei Turati con una prima riunione di aderenti in una provvisoria sede. Com’era naturale, è stato della partita anche il nostro artista, ma che è che non è, avendo avvistato che tra i partecipanti era attivo un noto ex-fascista, non ha avuto remore e se n’é immediatamente involato pronunciando una frase che ha fatto epoca: Non si poti essiri cchiù mancu socialista!
A una ennesima sua decisa presa di posizione sono stato presente anch’io. Il sindaco Mittica aveva avviato una serie di sistemazioni di vie cittadine, tra le quali quella che passa davanti alla casa originaria della famiglia Mazzullo oggi variamente ristrutturata. Essendo un percorso che a metà formava un vistoso dislivello, la commissione edilizia, di cui il pittore e scultore faceva parte, è venuta a stabilire che a un certo tratto vi si elevasse un muro con delle scale che avrebbero dato più conveniente accesso e una gradevole prospettiva alla parte che si proiettava verso il corso Razza. Apriti cielo! Un tale venuto da fuori che abitava nelle case popolari di via Verdi e che, uscendo con l’auto, invece di transitare sulla più comoda via Verdi, amava sgattaiolare per la disagevole stradella, ha elevato fiere proteste. Trovandoci tutti sul posto, quegli si è attivato a ribadire il suo credo a più non posso offrendo fasulle e interessate argomentazioni. In una fase del concitato rapporto il Mazzullo, che, sopportando pazientemente, andava pituliando per conto suo, non ne ha potuto più e lo ha affrontato e zittito con una frase del suo caratteristico repertorio: Taci, tu non hai gnogna artistica. La cosa è finita come doveva finire e oggi ci troviamo in un luogo ben accessibile soprattutto per coloro che frequentano il mercato settimanale.
Ho viva memoria dell’artista al lavoro in due sole contingenze, durante la pitturazione del soffitto del salone della cattedrale e della chiesa dell’abazia. Erano gli anni ‘40 del passato secolo. Nel primo caso era impegnato su un’alta impalcatura, dalla quale di tanto in tanto se ne scendeva onde riprendersi dalla difficile positura. Per rimettere in sesto la persona in condizioni più riposate, per indi riprendere ritemprato il lavoro, lo notavi profilarsi appoggiato a una parete. Da sotto non si notava alcunchè. Diversamente avveniva all’abazia, dove avevi agio di vedere operare in piena libertà. Grande sorpresa e paura quando alla fine dall’arco trionfale si sono proiettati avanti al nostro sguardo quegli orridi serpenti diavoli.
Questo, in pochi tratti, Domenico Mazzullo nelle mie memorie.
* Oppido Mamertina, Salone degli stemmi della cattedrale, 22 dicembre 2023.