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sabato, 23 Novembre, 2024

«Il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale». Intervista al pioniere dell’aerografia Massimo Chianese

Il realismo, a differenza dell’illusione, non sa distrarci da ciò che siamo realmente.

L’arte di Massimo Chianese è onesta e diretta, ma allo stesso tempo è una visione dei nostri tempi, di quello che siamo e di quello che manca, una lente d’ingrandimento sulla nostra quotidianità.

Cominciamo dalla tua ultima partecipazione alla “Quarta edizione della biennale d’Arte contemporanea di Salerno” la rassegna internazionale d’arte che si è svolta dal 6 al 21 novembre scorso e, tu eri l’unico artista lucano in esposizione.

Questa è la mia terza partecipazione alla biennale di Salerno e mi hanno invitato perché nell’edizione precedente ho vinto il primo premio in assoluto nella sezione design con l’opera del frigorifero. Quella vittoria è stata una grande soddisfazione, un po’ perché non me l’aspettavo, e poi perché sono stati gli organizzatori della biennale a invitarmi a partecipare, questo significa che non ho dovuto pagare il contributo che normalmente viene chiesto ai partecipanti. È stata una soddisfazione che è andata oltre ogni aspettativa, pensa che quando mi hanno telefonato per dirmi di presenziare alla serata della premiazione, avevo risposto che non potevo andarci e quando l’organizzatore ha insistito, solo allora ho capito di aver vinto!

Il frigorifero è un originale, dove l’hai trovato?

Un giorno mi sono trovato a passare davanti ad un deposito ed ho visto questo frigorifero che stava per essere rottamato, quando ho letto FIAT sopra, mi sono detto questo me lo devo prendere! Per fortuna funzionava ancora, ho dovuto solo sostituire una lampadina ossidata. Il fatto che fosse un frigorifero Fiat mi ha portato subito a disegnare una 500 rossa e il volto di Gianni Agnelli pensante. Ora il frigorifero è esposto in un locale a Tito al “Binario 74”, e il proprietario vorrebbe tenerselo, in verità c’era un altro acquirente, un lucano che vive a New York, ma i costi di trasporto hanno reso difficile chiudere la vendita con lui.

Un premio inaspettato, anche perché la tua tecnica, l’aerografia, non è convenzionale.

Sì, infatti, alla prima edizione della biennale, vi avevo partecipato con un ritratto di Jack Nicholson, lo avevano sistemato nella prima sala alle spalle dell’opera che costava di più. Quell’anno non mi hanno premiato, perché la giuria non poteva fare un confronto con nessun’altra opera, perché ero l’unico che partecipavo con questa tecnica.

Come sei arrivato a questa tecnica?

Nel 1993 mentre lavoravo in Fiat, un giorno arrivò un camionista inglese con il camion tutto aerografato e da lì è partito tutto. Mio fratello aveva un vecchio aerografo di quando frequentava l’università, é uno strumento utilizzato nella fotografia e serviva a fare i ritocchi. Quindi ho cominciato con questo aerografo, talmente datato che mi ha aveva procurato anche una tendinite.

Sei stato un pioniere di questa tecnica. Come facevi a capire che eri sulla strada giusta?

Compravo delle riviste in tedesco che ora non ci sono più e guardando le foto cercavo di intuire la tecnica, non conoscendo la lingua non capivo quello che c’era scritto e all’epoca Google traduttore non esisteva!

Disegno inoltre, con il curvilineo che è l’attrezzo utilizzato dai geometri, ed è una cosa che adopero solo io. Ho cominciato proprio così, usando quello che avevo a disposizione.

Sono l’unico a disegnare a mano libera perché normalmente con l’aerografo si usano le mascherature, per questo mi definisco un pittore che però usa l’aerografo. La difficoltà e la differenza più grande tra un pennello e l’aerografo è che con il pennello si tocca la superficie della tela, mentre con l’aerografo questo non è possibile, e devi sapere prima dove orientare lo spruzzo.

Ci sono dei calcoli da fare: la pressione dell’aria, la quantità del colore che deve uscire fuori… sono processi che oggi mi vengono automatici, infatti quando svolgo dei corsi di aerografia, la difficoltà più grande è proprio dare delle informazioni precise, perché la mia non è una tecnica studiata, è frutto della mia esperienza.

Unisci due mondi la fotografia e la pittura. Chi sono i tuoi punti di riferimento?

Tempo fa, ho seguito un corso con il migliore in questo settore. Si tratta di Druplay un’esperienza incredibile, anche se abbiamo due tecniche diverse, perché lui parte da un’immagine ad altissima risoluzione delle stesse dimensioni della tela e procede a specchio. Infatti, quando lui ha visto il mio metodo, mi disse: «you are crazy»!

Le persone che invece mi hanno ispirato di più sono Alberto Ponno e Guerrino Boatto tra i più importanti in Italia, che hanno lavorato per Ferrari, Bulgari, per l’aeronautica. Ma hanno curato anche le pubblicità per la Coca-Cola, la Campari, anche su questo, la maggior parte delle persone non sa che ad esempio l’ultima campagna della Campari, si tratta di immagini fatte con l’aerografo, non sono fotografie!

Ho fatto un corso anche con Alberto Ponno che lavora completamente al buio. Usa la tecnica della proiezione con la diapositiva: con il quadro fermo comincia a spruzzare, e lo spray a contatto con la superfice e il laser del proiettore si illumina, quindi è come se ricalcasse il disegno.

Hai detto che fai anche dei corsi di aerografia, è una tecnica che si sta diffondendo?

Sì e no, nel senso che i miei corsi sono seguiti, però l’aerografia non è ancora capita. Non si sa che questa tecnica è utile per il cake design, per il make up, l’arte, la pubblicità, la carrozzeria, la  falegnameria, personalizzazione d’interni; insomma è molto versatile, ma il problema è che non viene proprio considerata. Nei nostri territori non è percepita come forma d’arte, c’è pregiudizio. Manca proprio l’apertura mentale verso ciò che è nuovo e diverso, non si comprendono le potenzialità dell’aerografia.

Mi ritengo fortunato perché riesco a vivere della mia arte, ora mi sto anche specializzando in pelle e poi faccio di tutto dalla carrozzeria ai quadri, agli appartamenti.

Andiamo a ritroso, quando hai capito che volevi fare questo, che l’arte fosse qualcosa di predominante?

Per i primi tre anni disegnavo per me, non facevo vedere le mie cose. La prima volta che ho esposto un quadro, era ad una mostra ad Avigliano, il mio paese di origine , dopo cinque minuti l’ho venduto. Si trattava del vestito aviglianese esposto al Louvre, da lì è cominciato tutto. Figurati che quando lavoravo in Fiat avevo personalizzato tutto, arrivavo in fabbrica con la cartellina di Lupin! Poi quando mi sono trasferito a Lecce, per un po di tempo mi sono fermato, ma non ce la facevo a stare senza disegnare ed ho ripreso più di prima. La mattina facevo il rappresentante e la sera seguivo le tappe della notte della taranta, non dormivo praticamente mai, è durato tre mesi disegnavo sui tamburelli, ovunque. Quando poi sono tornato a Potenza, ho deciso che l’aerografia sarebbe stata il mio lavoro.

Quanto è difficile vivere di arte?

Tra noi colleghi ci diciamo che non si può vivere di arte, è dura. Se volessimo vendere più opere, dovremmo farlo sottocosto, ma non può funzionare così, perché i materiali hanno un costo ed io uso solo il meglio.

Tra l’altro ho scelto di non quotare le mie opere, perché la quotazione è un’arma a doppio taglio: se il coefficiente è alto, non riesci a vendere, specialmente qui.

La cosa più frustrante è che nel nostro territorio l’aerografia non è riconosciuta come forma d’arte, forse adesso dopo vent’anni, si comincia ad apprezzare, ma quando ho cominciato, era una tragedia. All’epoca chiesi di partecipare ad una mostra dove avrebbero preso parte tutti i big di Potenza, preparai un quadro dal titolo “Date da bere agli assetati” i cui soggetti erano due bambini che bevevano da una fontana, ma al momento di consegnare il mio lavoro mi fu detto che non potevo più partecipare perché “la mia tecnica non era considerata artistica ma tecnica grafica”, quando di grafico non c’è nulla, faccio tutto a mano.

Per inciso, con quello stesso quadro poi, vinsi il primo premio in una mostra organizzata in provincia di Taranto!

Nel tempo com’è cambiato il tuo modo di lavorare?

Sicuramente l’avvento d’internet mi ha agevolato, perché facendo ricerche e guardando anche le opere di altri colleghi cerco di assorbire tutto da tutti. Il confronto con gli altri è fondamentale.

Da quando faccio aerografia qualsiasi oggetto stimola la mia creatività e internet in questo rappresenta una risorsa, però non è oro tutto ciò che si vede sul web. Molte informazioni che riguardano l’aerografia sono sbagliate, per esempio esistono tre tipologie di aerografo ognuno con una funzione precisa, non si sceglie in base alla comodità!

Il metodo invece è rimasto uguale: prima lo schizzo a matita utilizzando sempre il colore grigio anche per le opere a colori, poi vado man mano a sfumare con i colori oppure con i toni chiaro/ scuro se si tratta di un soggetto in bianco e nero. Infine le varie rifiniture le faccio con la gomma, taglierino, lamette, stuzzicadenti… uso anche accessori che non fanno parte dell’arte!

Una curiosità se ti accorgi che hai sbagliato come puoi rimediare?

Eh bella domanda! Si può camuffare, dove è possibile, altrimenti si ricomincia. L’aerografia non perdona, è una tecnica che richiede precisione, calcolo e studio. Devi sapere esattamente quello che andrai a fare prima che lo spruzzo tocchi la superficie, diciamo che l’esperienza è una grande maestra! Ad esempio, una cosa che non si insegna ai corsi è dove mettere il separatore di condensa, che sarebbe il filtro dell’aria dell’aerografo. Quando compri un aerografo a compressione, ti danno il compressore con il filtro dell’aria attaccato, cosa sbagliata perché la condensa si forma durante il tragitto dell’aria nel tubo. Quindi è necessario aggiungere un tubo al condensatore, ma questo il principiante non lo può sapere e succede che quando va ad usare l’aerografo gli esce solo acqua! Sono tutte cose che io ho imparato da solo, senza l’aiuto di nessuno e nemmeno d’internet perché non c’era.

C’è stato qualcuno che in qualche modo ti ha cambiato?

Sì, si tratta di Alberto Ponno. Anni fa, mentre lavoravo a dei ritratti, un giorno Alberto mi disse: «Massimo tu non devi fare quello che pensi, tu devi fare quello che vedi. Ti faccio un esempio: la tua ragazza per te è bellissima, la tua mente in qualche modo la esalta, ma magari nella realtà non è così. Tu devi separare il pensiero da ciò che vedono i tuoi occhi». Ricordo che applicai quel consiglio proprio sul ritratto che stavo facendo, scattò in me qualcosa e capii il senso delle sue parole. È un processo difficile, ma questo è il segreto per la riuscita del ritratto.

A questo proposito, i soggetti delle tue opere sono soprattutto i ritratti, come mai questa scelta?

Gli elementi che amo più rappresentare sono i ritratti e le mani perché rivelano tanto delle. Sono anche gli elementi più difficili da riprodurre, infatti nell’arte ci sono degli studi a parte perché bisogna considerare le simmetrie e altri fattori, cosa che io non faccio perché vado d’istinto, ma per farti capire il livello di difficoltà. Ad esempio la cosa più complicata da fare è il ritratto dei neonati perché hanno la testa più grande del corpo, quindi nel disegno bisogna stare molto attenti altrimenti uscirebbe fuori una lampadina! Invece ritrarre un viso anziano, sebbene sia un processo più lungo si hanno però, più punti di riferimento.

Qual è la differenza tra un’opera su commissione e una d’ispirazione?

Cambia l’approccio: lavorare su commissione può essere stimolante, ma magari lo stato d’animo non è quello giusto, oppure la mente è occupata da altri pensieri e, però hai una scadenza da rispettare. Al contrario, l’ispirazione diventa necessità di disegnare.

Si vende l’opera o l’artista?

Dipende. Se si tratta di opere su commissioni, sono sicuramente più distaccato, nel caso di opere diciamo “mie” voglio sapere, dove vanno a finire, chi le ha comprate. Molto spesso sono felice della destinazione dei miei lavori.

C’è un quadro che ti sei pentito di aver venduto?

Sì, il quadro che ritraeva Jack Nicholson. È stata l’opera che mi ha regalato parecchie soddisfazioni quando la esponevo in giro, è stato quello che ho esposto alla mia prima partecipazione alla Biennale d’arte contemporanea di Salerno, ci ero parecchio affezionato.

Le tue opere sono difficili da interpretare, essendo così realistiche. Ma quali sono i messaggi che vuoi veicolare?

In generale faccio mie le tematiche sociali come la violenza contro le donne, oppure la sostenibilità alimentare. Ma ad esempio nel quadro “Mi faccio bella per te” racconto di questo legame indissolubile che trascende la morte e al tempo stesso è il racconto di una gestualità propria delle nostre nonne: farsi la treccia.

Hai preso parte a diverse manifestazioni artistiche in giro per l’Italia, quali sono le differenze che hai riscontrato rispetto alla percezione dell’aerografia?

Fuori dalla Basilicata, ma in generale oltre il sud dell’Italia, c’è più apertura mentale verso la sperimentazione e verso i modi di fare arte non canonici, e gli artisti come me, hanno più possibilità di confronto. Ci sono città che vivono di arte, la cui economia si basa su questo e ne beneficiano anche i paesi vicini. A Potenza non esiste un contenitore grande a sufficienza dove esporre, ma in generale l’arte non viene vissuta come possibilità, non se ne comprendono le potenzialità turistiche, oltre che di arricchimento dell’anima. In questo ragionamento ci deve essere anche un sostegno istituzionale, una visione di quello che potrebbe diventare la città stessa. Importante è affidarsi alle persone competenti, che ne capiscano davvero di arte, che conoscano le tecniche, gli strumenti utilizzati, altrimenti tutto si riduce a quello che è adesso, un circolo vizioso e pure di pochi.

Il realismo, a differenza dell’illusione, non sa distrarci da ciò che siamo realmente.

L’arte di Massimo Chianese è onesta e diretta, ma allo stesso tempo è una visione dei nostri tempi, di quello che siamo e di quello che manca, una lente d’ingrandimento sulla nostra quotidianità.

Cominciamo dalla tua ultima partecipazione alla “Quarta edizione della biennale d’Arte contemporanea di Salerno” la rassegna internazionale d’arte che si è svolta dal 6 al 21 novembre scorso e, tu eri l’unico artista lucano in esposizione.

Questa è la mia terza partecipazione alla biennale di Salerno e mi hanno invitato perché nell’edizione precedente ho vinto il primo premio in assoluto nella sezione design con l’opera del frigorifero. Quella vittoria è stata una grande soddisfazione, un po’ perché non me l’aspettavo, e poi perché sono stati gli organizzatori della biennale a invitarmi a partecipare, questo significa che non ho dovuto pagare il contributo che normalmente viene chiesto ai partecipanti. È stata una soddisfazione che è andata oltre ogni aspettativa, pensa che quando mi hanno telefonato per dirmi di presenziare alla serata della premiazione, avevo risposto che non potevo andarci e quando l’organizzatore ha insistito, solo allora ho capito di aver vinto!

Il frigorifero è un originale, dove l’hai trovato?

Un giorno mi sono trovato a passare davanti ad un deposito ed ho visto questo frigorifero che stava per essere rottamato, quando ho letto FIAT sopra, mi sono detto questo me lo devo prendere! Per fortuna funzionava ancora, ho dovuto solo sostituire una lampadina ossidata. Il fatto che fosse un frigorifero Fiat mi ha portato subito a disegnare una 500 rossa e il volto di Gianni Agnelli pensante. Ora il frigorifero è esposto in un locale a Tito al “Binario 74”, e il proprietario vorrebbe tenerselo, in verità c’era un altro acquirente, un lucano che vive a New York, ma i costi di trasporto hanno reso difficile chiudere la vendita con lui.

Un premio inaspettato, anche perché la tua tecnica, l’aerografia, non è convenzionale.

Sì, infatti, alla prima edizione della biennale, vi avevo partecipato con un ritratto di Jack Nicholson, lo avevano sistemato nella prima sala alle spalle dell’opera che costava di più. Quell’anno non mi hanno premiato, perché la giuria non poteva fare un confronto con nessun’altra opera, perché ero l’unico che partecipavo con questa tecnica.

Come sei arrivato a questa tecnica?

Nel 1993 mentre lavoravo in Fiat, un giorno arrivò un camionista inglese con il camion tutto aerografato e da lì è partito tutto. Mio fratello aveva un vecchio aerografo di quando frequentava l’università, é uno strumento utilizzato nella fotografia e serviva a fare i ritocchi. Quindi ho cominciato con questo aerografo, talmente datato che mi ha aveva procurato anche una tendinite.

Sei stato un pioniere di questa tecnica. Come facevi a capire che eri sulla strada giusta?

Compravo delle riviste in tedesco che ora non ci sono più e guardando le foto cercavo di intuire la tecnica, non conoscendo la lingua non capivo quello che c’era scritto e all’epoca Google traduttore non esisteva!

Disegno inoltre, con il curvilineo che è l’attrezzo utilizzato dai geometri, ed è una cosa che adopero solo io. Ho cominciato proprio così, usando quello che avevo a disposizione.

Sono l’unico a disegnare a mano libera perché normalmente con l’aerografo si usano le mascherature, per questo mi definisco un pittore che però usa l’aerografo. La difficoltà e la differenza più grande tra un pennello e l’aerografo è che con il pennello si tocca la superficie della tela, mentre con l’aerografo questo non è possibile, e devi sapere prima dove orientare lo spruzzo.

Ci sono dei calcoli da fare: la pressione dell’aria, la quantità del colore che deve uscire fuori… sono processi che oggi mi vengono automatici, infatti quando svolgo dei corsi di aerografia, la difficoltà più grande è proprio dare delle informazioni precise, perché la mia non è una tecnica studiata, è frutto della mia esperienza.

Unisci due mondi la fotografia e la pittura. Chi sono i tuoi punti di riferimento?

Tempo fa, ho seguito un corso con il migliore in questo settore. Si tratta di Druplay un’esperienza incredibile, anche se abbiamo due tecniche diverse, perché lui parte da un’immagine ad altissima risoluzione delle stesse dimensioni della tela e procede a specchio. Infatti, quando lui ha visto il mio metodo, mi disse: «you are crazy»!

Le persone che invece mi hanno ispirato di più sono Alberto Ponno e Guerrino Boatto tra i più importanti in Italia, che hanno lavorato per Ferrari, Bulgari, per l’aeronautica. Ma hanno curato anche le pubblicità per la Coca-Cola, la Campari, anche su questo, la maggior parte delle persone non sa che ad esempio l’ultima campagna della Campari, si tratta di immagini fatte con l’aerografo, non sono fotografie!

Ho fatto un corso anche con Alberto Ponno che lavora completamente al buio. Usa la tecnica della proiezione con la diapositiva: con il quadro fermo comincia a spruzzare, e lo spray a contatto con la superfice e il laser del proiettore si illumina, quindi è come se ricalcasse il disegno.

Hai detto che fai anche dei corsi di aerografia, è una tecnica che si sta diffondendo?

Sì e no, nel senso che i miei corsi sono seguiti, però l’aerografia non è ancora capita. Non si sa che questa tecnica è utile per il cake design, per il make up, l’arte, la pubblicità, la carrozzeria, la  falegnameria, personalizzazione d’interni; insomma è molto versatile, ma il problema è che non viene proprio considerata. Nei nostri territori non è percepita come forma d’arte, c’è pregiudizio. Manca proprio l’apertura mentale verso ciò che è nuovo e diverso, non si comprendono le potenzialità dell’aerografia.

Mi ritengo fortunato perché riesco a vivere della mia arte, ora mi sto anche specializzando in pelle e poi faccio di tutto dalla carrozzeria ai quadri, agli appartamenti.

Andiamo a ritroso, quando hai capito che volevi fare questo, che l’arte fosse qualcosa di predominante?

Per i primi tre anni disegnavo per me, non facevo vedere le mie cose. La prima volta che ho esposto un quadro, era ad una mostra ad Avigliano, il mio paese di origine , dopo cinque minuti l’ho venduto. Si trattava del vestito aviglianese esposto al Louvre, da lì è cominciato tutto. Figurati che quando lavoravo in Fiat avevo personalizzato tutto, arrivavo in fabbrica con la cartellina di Lupin! Poi quando mi sono trasferito a Lecce, per un po di tempo mi sono fermato, ma non ce la facevo a stare senza disegnare ed ho ripreso più di prima. La mattina facevo il rappresentante e la sera seguivo le tappe della notte della taranta, non dormivo praticamente mai, è durato tre mesi disegnavo sui tamburelli, ovunque. Quando poi sono tornato a Potenza, ho deciso che l’aerografia sarebbe stata il mio lavoro.

Quanto è difficile vivere di arte?

Tra noi colleghi ci diciamo che non si può vivere di arte, è dura. Se volessimo vendere più opere, dovremmo farlo sottocosto, ma non può funzionare così, perché i materiali hanno un costo ed io uso solo il meglio.

Tra l’altro ho scelto di non quotare le mie opere, perché la quotazione è un’arma a doppio taglio: se il coefficiente è alto, non riesci a vendere, specialmente qui.

La cosa più frustrante è che nel nostro territorio l’aerografia non è riconosciuta come forma d’arte, forse adesso dopo vent’anni, si comincia ad apprezzare, ma quando ho cominciato, era una tragedia. All’epoca chiesi di partecipare ad una mostra dove avrebbero preso parte tutti i big di Potenza, preparai un quadro dal titolo “Date da bere agli assetati” i cui soggetti erano due bambini che bevevano da una fontana, ma al momento di consegnare il mio lavoro mi fu detto che non potevo più partecipare perché “la mia tecnica non era considerata artistica ma tecnica grafica”, quando di grafico non c’è nulla, faccio tutto a mano.

Per inciso, con quello stesso quadro poi, vinsi il primo premio in una mostra organizzata in provincia di Taranto!

Nel tempo com’è cambiato il tuo modo di lavorare?

Sicuramente l’avvento d’internet mi ha agevolato, perché facendo ricerche e guardando anche le opere di altri colleghi cerco di assorbire tutto da tutti. Il confronto con gli altri è fondamentale.

Da quando faccio aerografia qualsiasi oggetto stimola la mia creatività e internet in questo rappresenta una risorsa, però non è oro tutto ciò che si vede sul web. Molte informazioni che riguardano l’aerografia sono sbagliate, per esempio esistono tre tipologie di aerografo ognuno con una funzione precisa, non si sceglie in base alla comodità!

Il metodo invece è rimasto uguale: prima lo schizzo a matita utilizzando sempre il colore grigio anche per le opere a colori, poi vado man mano a sfumare con i colori oppure con i toni chiaro/ scuro se si tratta di un soggetto in bianco e nero. Infine le varie rifiniture le faccio con la gomma, taglierino, lamette, stuzzicadenti… uso anche accessori che non fanno parte dell’arte!

Una curiosità se ti accorgi che hai sbagliato come puoi rimediare?

Eh bella domanda! Si può camuffare, dove è possibile, altrimenti si ricomincia. L’aerografia non perdona, è una tecnica che richiede precisione, calcolo e studio. Devi sapere esattamente quello che andrai a fare prima che lo spruzzo tocchi la superficie, diciamo che l’esperienza è una grande maestra! Ad esempio, una cosa che non si insegna ai corsi è dove mettere il separatore di condensa, che sarebbe il filtro dell’aria dell’aerografo. Quando compri un aerografo a compressione, ti danno il compressore con il filtro dell’aria attaccato, cosa sbagliata perché la condensa si forma durante il tragitto dell’aria nel tubo. Quindi è necessario aggiungere un tubo al condensatore, ma questo il principiante non lo può sapere e succede che quando va ad usare l’aerografo gli esce solo acqua! Sono tutte cose che io ho imparato da solo, senza l’aiuto di nessuno e nemmeno d’internet perché non c’era.

C’è stato qualcuno che in qualche modo ti ha cambiato?

Sì, si tratta di Alberto Ponno. Anni fa, mentre lavoravo a dei ritratti, un giorno Alberto mi disse: «Massimo tu non devi fare quello che pensi, tu devi fare quello che vedi. Ti faccio un esempio: la tua ragazza per te è bellissima, la tua mente in qualche modo la esalta, ma magari nella realtà non è così. Tu devi separare il pensiero da ciò che vedono i tuoi occhi». Ricordo che applicai quel consiglio proprio sul ritratto che stavo facendo, scattò in me qualcosa e capii il senso delle sue parole. È un processo difficile, ma questo è il segreto per la riuscita del ritratto.

A questo proposito, i soggetti delle tue opere sono soprattutto i ritratti, come mai questa scelta?

Gli elementi che amo più rappresentare sono i ritratti e le mani perché rivelano tanto delle. Sono anche gli elementi più difficili da riprodurre, infatti nell’arte ci sono degli studi a parte perché bisogna considerare le simmetrie e altri fattori, cosa che io non faccio perché vado d’istinto, ma per farti capire il livello di difficoltà. Ad esempio la cosa più complicata da fare è il ritratto dei neonati perché hanno la testa più grande del corpo, quindi nel disegno bisogna stare molto attenti altrimenti uscirebbe fuori una lampadina! Invece ritrarre un viso anziano, sebbene sia un processo più lungo si hanno però, più punti di riferimento.

Qual è la differenza tra un’opera su commissione e una d’ispirazione?

Cambia l’approccio: lavorare su commissione può essere stimolante, ma magari lo stato d’animo non è quello giusto, oppure la mente è occupata da altri pensieri e, però hai una scadenza da rispettare. Al contrario, l’ispirazione diventa necessità di disegnare.

Si vende l’opera o l’artista?

Dipende. Se si tratta di opere su commissioni, sono sicuramente più distaccato, nel caso di opere diciamo “mie” voglio sapere, dove vanno a finire, chi le ha comprate. Molto spesso sono felice della destinazione dei miei lavori.

C’è un quadro che ti sei pentito di aver venduto?

Sì, il quadro che ritraeva Jack Nicholson. È stata l’opera che mi ha regalato parecchie soddisfazioni quando la esponevo in giro, è stato quello che ho esposto alla mia prima partecipazione alla Biennale d’arte contemporanea di Salerno, ci ero parecchio affezionato.

Le tue opere sono difficili da interpretare, essendo così realistiche. Ma quali sono i messaggi che vuoi veicolare?

In generale faccio mie le tematiche sociali come la violenza contro le donne, oppure la sostenibilità alimentare. Ma ad esempio nel quadro “Mi faccio bella per te” racconto di questo legame indissolubile che trascende la morte e al tempo stesso è il racconto di una gestualità propria delle nostre nonne: farsi la treccia.

Hai preso parte a diverse manifestazioni artistiche in giro per l’Italia, quali sono le differenze che hai riscontrato rispetto alla percezione dell’aerografia?

Fuori dalla Basilicata, ma in generale oltre il sud dell’Italia, c’è più apertura mentale verso la sperimentazione e verso i modi di fare arte non canonici, e gli artisti come me, hanno più possibilità di confronto. Ci sono città che vivono di arte, la cui economia si basa su questo e ne beneficiano anche i paesi vicini. A Potenza non esiste un contenitore grande a sufficienza dove esporre, ma in generale l’arte non viene vissuta come possibilità, non se ne comprendono le potenzialità turistiche, oltre che di arricchimento dell’anima. In questo ragionamento ci deve essere anche un sostegno istituzionale, una visione di quello che potrebbe diventare la città stessa. Importante è affidarsi alle persone competenti, che ne capiscano davvero di arte, che conoscano le tecniche, gli strumenti utilizzati, altrimenti tutto si riduce a quello che è adesso, un circolo vizioso e pure di pochi.

2 COMMENTI

  1. Volevo solo ringraziare l’associazione senza tempo nella persona della presidente Giuseppina Paterna , per avermi dato la possibilità di partecipare con una mia molto ben curata intervista alla realizzazione del primo numero del giornale senza tempo magazine.
    Grazie

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